Dopo il debutto, nell´aprile scorso, al "Valli" di Reggio Emilia, torna sui palcoscenici emiliano-romagnoli il "Fidelio" di Ludwig van Beethoven, in una prestigiosa edizione diretta da Claudio Abbado alla guida della Mahler Chamber Orchestra, con la partecipazione dell´Arnold Schoenberg Chor e del Coro de la Comunidad de Madrid.
E´ un sogno lungamente accarezzato, e al quale ben tre teatri dell´Emilia-Romagna hanno partecipato in misura determinante, quello che Abbado è riuscito a realizzare: dirigere l´unica opera lirica di Beethoven.
Il "Fidelio" (in due atti, su libretto di Josef Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke, basato sul libretto francese di Jean-Nicholas Bouilly "Léonore, ou L´amour conjugal") è allestito con la regia di Chris Kraus, scene di Maurizio Balò, costumi di Annamaria Heinreich, luci di Gigi Saccomandi. Maestro del coro è Erwin Ortner. La produzione, oltre che dei Teatri di Reggio Emilia, è del Teatro Real di Madrid, della Festspielhaus di Baden Baden, e dei due teatri regionali che ora ospitano l´opera, il Teatro Comunale di Ferrara, dove le recite sono previste il 20 e il 22 novembre, e il Teatro Comunale "Luciano Pavarotti" di Modena, dove "Fidelio" sarà in scena il 28 e il 30.
Questa unica opera di Beethoven, che debuttò a Vienna nel 1806, ebbe per fonte un dramma di Jean-Nicholas Boully rappresentato nel 1798 con musica di Pierre Gaveaux. Il dramma apparteneva a un genere assai diffuso nella Francia degli anni della rivoluzione e nel decennio seguente, la "pièce à sauvetage", in cui gli eroi positivi, i rappresentanti delle forze del bene, trionfano dopo aver subito ingiuste persecuzioni e dopo romanzesche peripezie, trovando alla fine la loro salvezza grazie a un provvidenziale colpo di scena che non sarebbe da intendere come semplice effetto teatrale, ma come affermazione ottimistica di una fiducia nei valori della giustizia e della ragione.
Inoltre, ed ha anche questo il suo significato, la vittoria delle forze del bene vede uniti personaggi di classi sociali diverse, di estrazione sia nobile che plebea.
Fra i musicisti che scrissero opere legate a questa genere drammaturgico, uno dei più stimati da Beethoven fu Luigi Cherubini.
Dopo un tentativo di collaborazione con Schikaneder, lasciato cadere, Beethoven trovò significativamente nell´ambito di questo gusto teatrale francese le premesse per la propria unica opera. La prima versione, su un libretto di Joseph Sonnleithner che si attenne abbastanze fedelmente a Bouilly, fu composta nel 1804-5 in tre atti e andò in scena il 20 novembre 1805 nella Vienna occupata dalle truppe francesi, in assenza dei maggiori sostenitori di Beethoven, e fu rappresentata solo tre volte. Fu con difficoltà che Beethoven si lasciò persuadere a compiere alcuni tagli e a ripresentare l´opera in due atti, il 29 marzo 1806; questa volta fu un dissenso con il direttore del teatro ciò che indusse Beethoven a ritirare quasi subito la partitura. Quando nel 1814 tre cantanti (fra i quali J.M.Vogl, che sarebbe divenuto amico e interprete di Schubert, e che cantò la parte di Pizarro) proposero a Beethoven una ripresa, egli sentì la necessità di una rielaborazione, per il libretto della quale ebbe l´aiuto di Georg Friedrich Treitschke. Nacque così la versione definitiva, la cui ouverture finì per essere la quarta che Beethoven aveva composto per il Fidelio. Nel 1805 era stata eseguita l´ouverture nota con il nome di Leonora n. 2, nel 1806 la Leonora n. 3: l´una e l´altra sono una sintesi del percorso dell´opera dall´oppressione del carcere di Florestano ai provvidenziali squilli di tromba fino all´impeto liberatorio conclusivo, ed ebbero grande fortuna come pagine orchestrali a sé stanti (furono fra quelle di Beethoven in cui si vide una anticipazione del poema sinfonico); ma proprio per la loro grandezza furono forse giudicate da Beethoven inadatte a iniziare un´opera le cui prime scene presentano un carattere di commedia borghese e fungono da premessa e quasi piedistallo al nucleo drammaturgico centrale.
In ogni caso, la tormentata genesi del Fidelio rivela il percorso con cui, in questa sua unica esperienza operistica, Beethoven giunse a impadronirsi del genere, piegandolo alle esigenze della propria concezione sotto il segno di una incandescente tensione etica e inventiva.
Formalmente, il Fidelio ha l´andamento del Singspiel, alternando numeri chiusi a parti recitate, come accadeva nella Léonore di Bouilly e Gaveaux e nel Flauto magico di Mozart, antecedente fondamentale (e a Beethoven carissimo) nella storia dell´opera tedesca. Accanto alle voci, l´orchestra è fra i protagonisti della partitura del Fidelio: a partire dall´aria di Pizarro ci si lascia alle spalle la dimensione stilistica sostanzialmente tardo-settecentesca delle cordiali pagine ´leggere´ dell´inizio, per dare spazio a un respiro sinfonico inaudito (anche se ha un precedente nell´intenso impegno sinfonico che Beethoven ammirava nel teatro di Cherubini), mentre l´ardua scrittura vocale pone spesso a dura prova gli interpreti, in situazioni al limite per l´urgenza della tensione espressiva e per il severo rifiuto di ogni edonismo.
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